Ipovedente e non vedente: differenze
In questo articolo andremo a fare chiarezza ed approfondire le diverse situazioni di disabilità visiva. Spesso si tende a confondere o ad equiparare le condizioni di ipovedente e di non vedente, che corrispondono rispettivamente alla perdita parziale e alla perdita totale della funzione visiva.
Esistono vari livelli di problematica che, in base alla gravità, impattano sulla vita di una persona e comportano una ridotta capacità di compiere autonomamente le attività quotidiane.
La differenza tra la condizione di ipovedente e di non vedente
Secondo le definizioni dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), si prendono in considerazione due fattori per stabilire il grado di disabilità visiva:
- l’ampiezza del campo visivo, definita come la scena visibile dal soggetto quando egli fissa un punto davanti a sé
- l’acuità visiva (o visus), ovvero la capacità di distinguere determinate forme ad una certa distanza e percepire in maniera nitida le immagini ed i dettagli
SI tratta quindi di alterazioni in questi due aspetti della vista che possono colpire un solo occhio od entrambi gli occhi.
In campo medico, la condizione di ipovedente indica un deficit di acuità visiva causata da vari fattori, congeniti o acquisiti. Può esserci inoltre una ridotta percezione del campo visivo, oppure la compresenza di entrambe le alterazioni visive.
La normativa
La Legge 138 del 3 aprile 2001 definisce le varie forme di minorazioni visive meritevoli di riconoscimento giuridico, secondo i parametri accettati dalla medicina oculistica internazionale.
L’ipovisione viene quindi classificata nei seguenti gradi di severità:
- Ipovisione grave – residuo visivo non superiore a 1/10 in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore, anche con la presenza di un’eventuale correzione, oppure residuo perimetrico binoculare inferiore al 30%.
- Ipovisione medio-grave – residuo visivo non superiore a 2/10 in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore, anche con la presenza di un’eventuale correzione, oppure un residuo perimetrico binoculare inferiore al 50%.
- Ipovisione lieve – residuo visivo non superiore ai 3/10 in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore, anche con la presenza di un’eventuale correzione, oppure un residuo perimetrico binoculare inferiore al 60%.
L’ipovisione viene inoltre distinta in due ulteriori tipologie:
- ipovisione centrale: colpisce prevalentemente l’acuità visiva provocando difficoltà nel distinguere in modo nitido i dettagli, ad esempio in attività come la lettura
- ipovisione periferica: la problematica visiva riguarda la parte più laterale, vi è quindi un’alterazione del campo visivo che determina problemi di orientamento e mobilità del soggetto
Quando la condizione di ipovedente è molto grave si parla dunque alla cecità. In base alle definizioni dell’OMS, un paziente viene definito “non vedente” quando l’acuità visiva corretta nell’occhio migliore è inferiore a 1/20.
Anche in questo caso, la legge 138/2001, ha individuato i criteri per stabilire la presenza di un quadro di cecità:
- Cecità totale – totale mancanza della vista in entrambi gli occhi o la sola percezione dell’ombra e della luce o del moto della mano in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore, oppure residuo perimetrico binoculare inferiore al 3%
- Cecità parziale – residuo visivo inferiore a 1/20 in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore, anche con la presenza di un’eventuale correzione, oppure residuo perimetrico binoculare inferiore al 10%
Diagnosi di disabilità visiva
È necessario l’intervento dell’oculista e dell’ortottista per diagnosticare il tipo di disabilità visiva e determinare l’entità del deficit, tramite una visita oculistica completa che indaga i due aspetti che caratterizzano queste patologie: acuità visiva, da vicino e da lontano, e campo visivo.
Per avere un quadro più completo della patologia si possono effettuare ulteriori esami strumentali, come i potenziali evocati visivi (PEV) o la risonanza magnetica, che vanno ad indagare il funzionamento cerebrale in seguito alla somministrazione di uno stimolo visivo.